Cura promiscua non significa relazioni effimere tra estranei. Significa invece riconoscere che la cura può mettere in relazione persone non necessariamente vicine.
Tra la fine degli anni 80 e l'inizio degli anni 90, quando l'epidemia di AIDS ormai dilagava negli Stati Uniti e la società reaganiana demonizzava le comunità LGBT+ tacciandole di pericolosa promiscuità e implicitamente accusandole di essere responsabili della diffusione della malattia, Douglas Crimp, attivista dell'ACT UP (una delle organizzazioni di protesta contro la mala gestione dell'epidemia) diffuse il saggio "Come avere rapporti promiscui nel corso di un'epidemia".
Ronald e Nancy Reagan sfruttavano l'epidemia per isolare ed eliminare le comunità marginalizzate che non potevano avere spazio nella società "decorosa" che loro e il loro partito immaginavano per l'America, e l'aggettivo "promiscuo" diventò quindi sinonimo di malato e perverso, ma Crimp e l'ACT UP contrapposero al significato negativo un'altra accezione che non entrava in contraddizione con quella di safe sex, anzi, tutto il contrario.
La promiscuità intesa come "moltiplicazione e sperimentazione dei modi in cui gli uomini gay potevano entrare in intimità e prendersi cura l'uno dell'altro" è il concetto, poi ampliato, che sta alla base del "Manifesto della cura", da cui ho tratto la citazione che apre questa riflessione. Pubblicato nel 2020, alle porte di una nuova epidemia e di nuovi capri espiatori, il Care Collective (collettivo nato nel 2017 per ragionare sul concetto e sulle pratiche di cura) ha prodotto una riflessione a più mani sulla politica dell'interdipendenza e sulla necessità di cambiare la percezione secondo cui la cura "abbia a che vedere soltanto con l'individuo". Fu proprio con Reagan, in America, e con Margaret Thatcher, nel Regno Unito, che i welfare statali iniziarono a essere smantellati mentre la figura del cittadino autonomo e autosufficiente si faceva strada come simbolo del nuovo stato capitalista neoliberale. La gestione criminale della sanità, che quarant'anni fa colpì duramente quasi solo le comunità gay e LGBT+, ha fatto la sua seconda, grande, immensa ondata di vittime con la pandemia di Covid, per la stragrande maggioranza evitabile se si fossero messe in pratica le misure ideate dalle associazioni nate proprio nel periodo della diffusione dell'AIDS come ACT UP o Gay Men Fighting Aids, oppure integrando i modelli di mutua assistenza messi in pratica un decennio prima dalle Black Panthers. Attraverso le pratiche di cura promiscua le comunità e le organizzazioni di cittadini (ho citato solo un paio tra le moltissime attive in quegli anni) riuscivano a sopperire alle gravi assenze istituzionali e lo facevano mettendo le relazioni tra soggetti interdipendenti al centro dei loro sforzi.
In uno scenario capitalista, fortemente individualista, anche (e soprattutto!) la salute mentale, termine che ha delle criticità e che viene ormai abusato, dei cittadini non solo passa in secondo piano ma diventa addirittura colpa e responsabilità del singolo. Le difficoltà che abbiamo visto, ancora una volta rese evidenti dalla pandemia, nell'accedere alle cure psicologiche dimostrano il disinteresse da parte dello stato nei confronti del benessere psico-emotivo dellз suз cittadinз. E anche quando riusciamo ad accedere alle cure di cui abbiamo bisogno, queste sono quasi sempre orientate a riabilitarci come cittadinз produttivз e funzionali alla stessa società che ci ha generato il malessere che cerchiamo di sanare. Anche in questo caso la cura è frammentata e individualizzata, oltre che totalmente a carico della persona che viene considerata in stato di vulnerabilità o malattia.
Il recupero delle pratiche di cura promiscua, la creazione di spazi sicuri da cui partire per metterle in atto (che non restino dei luoghi asettici in cui reiterare l'individualizzazione capitalista ma che siano laboratori attivi e partecipati) è diventata, e non ha mai smesso di essere, una necessità.
La lettura dei tarocchi può, deve, essere uno di questi spazi. Tra lǝ cartomante e lǝ consultante si viene a creare un legame forte di interdipendenza. Le carte, che sono strumenti d'introspezione e riflessione inseriti e radicati nel mondo e non mere astrazioni, sono un filo di collegamento tra colǝi che si mette a disposizione dell'altrǝ in maniera indiscriminata. L'atto della lettura è un atto di cura, mai passivo, in cui lo scambio tra cartomante e consultante diventa la chiave che innesca il processo di autoanalisi che ha un unico scopo: il miglioramento personale fine a se stesso, disinteressato.
Tra le figure demonizzate ed epurate dalla società nel corso della sua evoluzione dalla pre-cristianità a oggi vi è quella della medichessa, ostetrica o levatrice, erborista o guaritrice, dedita alle pratiche di cura indiscriminata e sistematicamente accusata di stregoneria e rimpiazzata poi da uomini che avrebbero ricoperto gli stessi ruoli ma con scopi differenti, spesso al servizio della Chiesa o dei proprietari terrieri. Le conoscenze messe dunque al servizio del benessere del prossimo, in cambio di servizi di altro genere e quindi in regime di interdipendenza, scomparirono e qualsiasi cosa esulasse dal sapere "ufficiale e riconosciuto" venne considerato barbaro, selvaggio, sciocco e inutile. Tra queste vi era anche la pratica della lettura dei tarocchi. L'obiezione che viene spesso fatta a chi legge le carte è che si tratti di autosuggestione, di qualcosa di irrazionale e senza fondamento scientifico, dunque fondamentalmente senza scopo se non quello di lucrare sulle vulnerabilità del prossimo. A questo io rispondo con una domanda: di cosa abbiamo bisogno per stare bene? È sufficiente ciò che è puramente materiale, quantificabile, razionale e spendibile?
È cura scegliere di dedicarsi a ciò che un occhio capitalista reputa inutile.
È cura ricavarsi uno spazio privo di pregiudizi e discriminazioni in cui la priorità è la condivisione tra soggetti interdipendenti.
È cura contrastare la politica dell'individualismo mettendosi al servizio dell'altrǝ.
È cura recuperare saperi dimenticati e demonizzati per rimetterli al servizio della comunità.
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