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Tarologa o cartomante?


Le protagoniste di un quadro di Albert Anker, ovvero una donna anziana che legge le carte seduta a un tavolo e due fanciulle in piedi accanto a lei, su uno sfondo viola glitterato. Le due fanciulle chiedono attraverso un fumetto aggiunto tramite Canva alla donna anziana "Ma tu sei tarologa o cartomante?"

Ho deciso d'inserirmi a gamba tesa in questo dibattito ormai in corso da diverso tempo perché non mi sono riconosciuta in nessuna delle opinioni che ho incontrato, opinioni che di fatto si riducono a una sola, ovvero: "Non sono unx cartomante perché lx cartomanti leggono il futuro. Sono unx tarologx perché uso i tarocchi come strumento d'introspezione e non come strumento di divinazione".

Ci sono alcune cose di quest'affermazione che reputo condivisibili ma ce n'è una, fondamentale ma non esplicita, che mi fa storcere il naso e cioè l'accanimento che contraddistingue coloro che sentono il bisogno di operare questa distinzione.

Partiamo dal principio. Dalle parole. Cosa vuol dire "cartomante"? Da dove viene? Chi lo usa/lo ha usato e perché? Uno dei più autorevoli vocabolari della lingua italiana, la Treccani, recita:

Cartomante: s. m. e f. [comp. di carta (da gioco) e -mante]. – Chi pretende d’indovinare il futuro o di rivelare cose segrete per mezzo della cartomanzia.

Dunque, pare sia vero che la caratteristica principale di unx cartomante sia la pretesa di predire il futuro. È in particolare il suffisso "-mante" che rimanda al concetto di "indovinare il futuro", perché il greco -μαντις significa proprio "indovino", contrapposto nella modernità al suffisso "-logo/a" (come, appunto, in "tarologo/a") derivato dalla parola, anch'essa greca, λόγος, "ragione, discorso, parola" (si tratta di un'estrema semplificazione; chi ha avuto tra le mani un dizionario di greco antico sa bene che il termine λόγος si porta via 3-4 pagine di definizioni). E a questo punto voler contrapporre i due termini mi puzza già di scientismo, ma soprassediamo.


Il termine "cartomante" porta alla mente un immaginario iconico fatto di veli colorati pieni di ciondoli e frange, tessuti dai pattern animalier, gioielli pacchiani, televisioni private, telefonate costosissime in linea diretta con la personalità di turno che promette la soluzione a ogni problema. Il termine "tarologo" che tanto assomiglia a parole imponenti e rispettabili come "psicologo, sociologo, antropologo" si ripromette di ripulirci la faccia. Con la semplice frase "Non sono cartomante, sono tarologa" ci allontaniamo da quell'universo senza dover dare ulteriori spiegazioni, quello che stiamo dicendo è "Non sono come loro, sono diversa, faccio un'altra cosa". Sembra una specifica innocua, anche giusta, forse. Una descrizione piuttosto precisa dello stato delle cose. Eppure non riesco a togliermi di dosso uno strano retrogusto classista quando sento - o quando io per prima ho detto - queste parole. A rivolgersi alla cartomante, ci immaginiamo, sono i poveracci (o piuttosto le poveracce), gli ignoranti, il popolino, la povera gente che non capisce come funziona il mondo, che non si rende conto di essere presa in giro e raggirata. Per qualche motivo la parola "tarologia" - forse perché fa il paio con termini come "psicologia" che, si sa, è una cosa da ricchi privilegiati - ci fa immaginare un pubblico diverso, dei fruitori più colti, ripuliti, intellettuali. E non ci rendiamo conto che così facendo stiamo agevolando un'involuzione. I tarocchi nacquero nelle corti, destinati a intrattenere i nobili, e poi il popolo, che veniva vessato e multato quando veniva pizzicato a giocare a carte nelle taverne, se ne appropriò e diede loro nuova linfa. A quanto pare, adesso, vogliamo rimuoverlo dagli spazi popolari e rimetterlo a disposizione solo di un'élite. Per quanto mi riguarda, è un'operazione lontana dai miei valori e dalla mia prospettiva politica e non posso che rifiutarla e invitare chiunque si approcci al mezzo a fare lo stesso. Così, da un po' di tempo ho iniziato a definirmi "cartomante e tarologa", con una preferenza per il termine "cartomante" che uso sempre per primo (che è anche più bello e non ha genere, meglio di così?), e so che moltx colleghx reputeranno inconciliabili i due concetti ma, che posso dire, non mi interessa.


I motivi di questa scelta sono semplici:

  1. non predìco il futuro ma leggere e interpretare le cose presenti attraverso le carte mi permette di fare delle ipotesi su ciò che potrebbe accadere. Si potrebbe dire che "tiro a indovinare";

  2. rivendico l'uso popolare dei tarocchi e non sento la necessità di scegliere terminologie che mi differenzino o mi elevino;

  3. rifiuto l'idea che la lettura dei tarocchi sia un atto completamente logico, misurabile, più vicino al concetto moderno di λόγος che rappresenterebbe "la verità oggettiva". Non può esserci una verità oggettiva nei tarocchi che, per loro stessa natura, sono interpretabili e adattabili a diverse situazioni e condizioni;

  4. mi riapproprio di un termine usato per denigrarmi, lo uso con orgoglio e senza vergogna, lo trasformo affinché non possa più essere usato come arma contro di me. È una scelta politica, come tutto quello che faccio.

Non sono una "conservatrice linguistica", anzi, tutto il contrario. Ma credo che la trasformazione del linguaggio debba avvenire in ottica progressista e plurale. Attraverso la scelta delle parole dovremmo allargare il campo d'azione e non restringerlo, come invece mi sembra di fare quando rifiuto un termine - cartomante, in questo caso - per preferirne un altro - tarologa - che si porta dietro un carico escludente.


Con la mia posizione non nego l'esistenza dei truffatori che si sono serviti del termine, ma non è l'uso di un'altra parola che mi rende diversa da loro, è la mia etica, sono i miei valori e le mie convinzioni, sono le mie azioni e le mie scelte. Chi mi reputa una ciarlatana lo farà a prescindere dal titolo che mi scelgo e non ho nessuna voglia di rendermi accomodante per loro scegliendo parole considerate più accettabili.


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